Può la comprensione essere una soluzione al misgendering?

Diamo la parola all’avvocato del Diavolo!

Mi chiamo Laura, ho 46 anni e sono una sostenitrice dell’Associazione Con-Te-Stare.

L’ho vista nascere, l’ho sostenuta nei suoi primi passi.

Distante, ma non troppo, seguo la Magnifica Creatura che sta diventando.

E Seppur il mio contributo non sia più attivo, mi ritrovo talvolta a ragionare con Roberta (la Dott.ssa Rosin) mia cara amica, sulla questione T : contestualizzandola al qui ed ora!

Un confronto tra chi ha cognizione di causa (lei) e l’ignorante (io).

Sono ignorante perché non so quello che mi sarebbe utile sapere per meglio comprendere.

Spesso queste nostre chiacchierate si concentrano sull’importanza del linguaggio e l’uso dei giusti termini.

Di quanto le definizioni siano uno strumento fondamentale affinché le persone transgender possano veder riconosciuta la propria identità nel contesto sociale a cui appartengono; perché l’essere umano forgia la propria identità anche attraverso le relazione affettive e non, di cui si nutre e fa parte.

Termini e definizioni non corrette possono condizionare in rapporti sociali, delineando troppo spesso confini, fazioni e fratture, a sfavore di una sana e genuina inclusività e senso di appartenenza.

Su questi pensieri mi soffermo spesso, il linguaggio è la croce e delizia di questa nostra civiltà.

Spesso mi accorgo anch’io di non riuscire a star al passo con la dirompente, sebbene positiva, maturazione dei termini e delle definizioni nel contesto T.

Ignorante si, ma non per colpa o volontà.

Può capitare che io usi termini non corretti, e che questo possa infastidire o peggio ferire una persona transgender.

Ma da parte mia non c’è malizia, provocazione o volontà di ferire.

Semplicemente io ignoro; ignoro le parole più corrette da usare, sia per relazionarmi, sia per definire.

E come me molte altre persone si trovano in questa situazione.

La domanda è: quale potrebbe essere una possibile soluzione a questo misgendering?

Il malinteso si può affrontare con la Carità interpretativa, e la comprensione!

Ossia trattare l’altro come te stesso!

Un’indulgenza positiva, da ambo le parti: chi si sente ferito e chi è inconsapevole carnefice.

“Mi hai ferito ma comprendo le tue difficoltà nel rivolgerti a me, sia perché tutto non puoi sapere, sia perché forse paradossalmente hai timore di offendermi!”

“Ti ho ferito, me ne accorgo dalla tristezza che leggo nei tuoi occhi! Se ti è possibile perdona la mia ignoranza ,e aiutami ad avvicinarmi ad una comprensione più piena del tuo essere e del tuo sentire!”

La soluzione è la “carità interpretativa”, trattare l’altro come te stesso, con comprensione e fiducia.

Non lo dico io che son un’ignorante anche se curiosa, lo diceva Il filosofo Donald Davidson.

I ponti sono i luoghi dove l’essere umano ha incontrato un ostacolo e nonostante tutto non si è fermato!

E allora

Abbattiamo i muri che ci allontanano e dividono

E

Creiamo ponti per avvicinarci e sostenerci.

Ponti fatti di comprensione e fiducia.

Laura.