Mondo T* e sport: controversie legate all’inclusione delle donne TGD nelle categorie femminili, un’analisi della letteratura esistente


A cura di Roberta Rosin e Davide Cavagna*

I primi studi sulle differenze di genere si basavano sul presupposto che maschio e femmina fossero diametralmente opposti e che fossero le uniche identità di genere e sessi possibili.

Le differenze che venivano riscontrate tra questi venivano quindi interpretate come suggerimenti che maschi e femmine dovessero essere trattatɜ in modo diverso. Attualmente, però, le qualità psicologiche femminili e maschili non sono più considerate dicotomiche o basate sulla biologia, così come la maggior parte delle variabili biologiche, che invece di risultare binarie, sono piuttosto distribuite equamente tra maschi e femmine: moltɜ psicologɜ comprendono i limiti delle vecchie differenze di genere e dei ruoli di genere, e cercano invece spiegazioni nella socializzazione e nei modelli cognitivi sociali, piuttosto che nelle dicotomie maschio-femmina e mascolino-femminino. (Bem 1993, Deaux 1984). È più importante come le persone pensano che maschi e femmine differiscano piuttosto che come differiscano effettivamente: gli stereotipi di genere sono ovunque e attraverso il processo sociale amplifichiamo piccole differenze in diversità apparentemente maggiori (Sharma e Aishwarya, 2022).
Intorno a questo scenario, però, si sviluppa il dibattito sull’inclusione dellɜ atletɜ TGD nello sport. Lɜ autorɜ espongono la complessità del problema e discutono varie posizioni sfumate: alcunɜ senza sostenere una soluzione particolare (Sailors, 2020), altrɜ opponendosi all’inclusione delle donne trans nella categoria femminile per questioni fisiologiche (Knox, Anderson e Heather, 2019) o di sicurezza (Pike, 2021), altrɜ ancora sostenendo l’inclusione, sia condizionatamente (che le donne TGD debbano essere incluse, ma con un handicap) (Bianchi, 2017) che incondizionatamente (Gleaves e Lehrbach, 2016).

In generale la partecipazione allo sport del genere femminile ha una lunga storia travagliata piena di discordie e pregiudizi. Solo nei primi anni del secolo scorso per la prima volta le donne hanno iniziato a competere con gli uomini. Originariamente la categorizzazione per sesso non si sviluppa per rispetto del principio di equità, bensì perché alcune donne hanno iniziato a battere gli uomini. Solo a seguito, quindi, di un’ulteriore esclusione delle donne dal mondo dello sport, si svilupperà poi la categoria femminile, come soluzione per impedire che possano essere minati i record maschili.
Successivamente, la crescente consapevolezza riguardo all’uso di sostanze dopanti da parte dellɜ atletɜ, che conferivano loro un “vantaggio maschile”, ha portato all’implementazione di test di verifica del genere nei tornei internazionali. Il sospetto che diverse atlete femminili provenienti dall’Unione Sovietica e dalla Germania dell’Est non fossero realmente femmine ha contribuito allo scetticismo. Il Comitato Olimpico Internazionale (COI) e la Federazione Internazionale di Atletica Leggera (IAAF) decisero di testare tutte le atlete femminili per la “femminilità” e di squalificare coloro che avevano un “vantaggio maschile” ingiusto. I test iniziali prevedevano “sfilate nude”, durante le quali le donne dovevano spogliarsi di fronte a una giuria e sopportare esami ginecologici. Il test della cromatina sessuale, un test di breve durata che cercava un corpo di Barr, il secondo cromosoma X inattivato visto nelle cellule femminili, è stato presto aggiunto agli esami fisici. Questo è stato gradualmente eliminato in favore del cariotipo, seguito dall’analisi SRY: un test diretto per sondare la presenza di un gene più significativo nello sviluppo maschile. Le autorità del COI ignoravano però la complessità della determinazione del sesso umano. Successivamente, quindi, il COI eliminò i test di genere sistematici poco prima delle Olimpiadi del 2000 a Sydney, dopo tre decenni di aspro dibattito tra scienziati e medici. Tuttavia, attualmente si sono aperti nuovi orizzonti di dibattito per raggiungere una comprensione empirica e qualitativa sulla questione dell’inclusione dellɜ atletɜ TGD (Sharma et al., 2022).

Il Consenso di Stoccolma è stato istituito nel 2004 dal Comitato Olimpico Internazionale (COI) per consentire allɜ atletɜ TGD di competere alle Olimpiadi. Questo permetteva allɜ atletɜ di competere nella categoria del loro genere affermato se soddisfacevano una serie di requisiti, tra cui quello di aver subito un intervento chirurgico anatomico con cambiamenti degli organi genitali esterni, di essere in grado di verificare un percorso di trattamento ormonale della durata prescritta attraverso documentazione medica e di essere legalmente riconosciutɜ con il loro genere affermato (Sharma et al., 2022). Dal 2015 non viene più richiesto di aver effettuato l’intervento chirurgico ma rimane l’acceso dibattito se una donna TGD abbia un vantaggio competitivo a causa del suo fisico e della sua crescita.

In questo scenario lɜ atletɜ TGD sembrano affrontare la sfida più grande di tutte: una grave mancanza di comprensione e compassione da parte dellɜ compagnɜ di squadra, dellɜ allenatorɜ e dellɜ spettatorɜ. Purtroppo, moltɜ allenatorɜ, genitorɜ, psicologɜ dello sport e amministratorɜ mancano delle competenze necessarie per creare un ambiente accogliente per lɜ atletɜ TGD e tendono invece a rafforzare vecchie preconcezioni (Sharma et al., 2022).

A tal proposito vediamo nella letteratura esistente le principali argomentazioni a favore e contro l’inclusione dellɜ atletɜ TGD nella categoria del loro genere affermato.


Argomentazioni contro
:

A giustificare l’esistenza di categorie sportive contemporanee (età, sesso, peso, disabilità, ecc.) sono i principi di equità, sicurezza e inclusione. La maggior parte di queste categorie non possono evitare, però, di favorire un certo tipo di atletɜ e quindi (a seconda dello sport) lɜ più pesante o leggerɜ, più anzianɜ o più giovane, lɜ più altɜ, lɜ meno altɜ, ecc. ha una maggiore possibilità di vincere. Tuttavia, la categorizzazione consente a gruppi di atletɜ che altrimenti sarebbero svantaggiatɜ dalla natura dello sport, di avere l’opportunità di avere successo e diventare campionɜ. La categoria di peso nel pugilato, per esempio, permette l’inclusione di atletɜ di molti tipi di corporatura e dimensioni diverse, ognunɜ con le proprie competizioni e lɜ proprɜ campionɜ (Martínková, Parry e Imbrišević, 2021).
Alcunɜ autorɜ sostengono che essendo la categoria basata sul sesso e non sul genere, l’inclusione di persone di vari generi (non binari, agender, ecc.) nelle due attuali sottocategorie del sesso non dovrebbe rappresentare un problema, poiché lɜ atletɜ sono inclusɜ (e testatɜ) in base al loro sesso di nascita. Secondo questa idea quindi una donna TGD dovrebbe competere con gli uomini perché biologicamente maschio.
Riguardo al principio di equità si ritiene che gli uomini biologicamente tendono ad avere prestazioni atletiche superiori rispetto alle donne, quindi lɜ atletɜ TGD che hanno sviluppato muscoli e ossa sotto l’effetto del testosterone prima della transizione, potrebbero avere un vantaggio competitivo rispetto alle donne cisgender.
Anche per questioni di sicurezza alcunɜ autorɜ si oppongono a tale inclusione ritenendo che questa possa aumentare il rischio di lesioni per le atlete cisgender. Questo timore si basa sempre sull’idea che lɜ atletɜ TGD, in particolare quelle AMAB che hanno mantenuto livelli più elevati di testosterone, potrebbero essere più forti e fisicamente più grandi delle loro controparti cisgender, mettendole in un potenziale rischio maggiore di infortuni durante gli incontri sportivi. In particolare questo è evidente negli sport di combattimento e contatto come il rugby: uno studio ha dimostrato che un tipico giocatore con caratteristiche maschili che affronta una tipica giocatrice con caratteristiche femminili crea un rischio minimo del 20%-30% maggiore per quelle giocatrici femminili. Nel caso in cui giocatrici femminili più piccole siano esposte a tale rischio, con giocatori maschi più grandi come avversari, il rischio aumenta significativamente e può raggiungere livelli due volte più grandi (Gruppo di Lavoro di World Rugby, 2020). Ad oggi quindi l’International Rugby esclude le donne trans dalla partecipazione nella categoria femminile.
L’inclusione delle donne TGD nelle categorie femminili si pensa inoltre che possa essere a sua volta poco inclusiva per le donne cisgender e che quindi le risorse, gli spazi e le opportunità sportive possano essere distribuite in modo inequo, favorendo lɜ atletɜ TGD a discapito delle loro controparti cisgender.

Alla critica secondo cui anche le categorizzazioni esistenti non sono eque perché non prendono in considerazione tutti gli aspetti sociali che possono avvantaggiare un*atleta rispetto ad un*altrǝ, viene ribattuto il presupposto centrale nello sport: questo valuta la performance e non come si è arrivati fin lì. Si crea dunque una distinzione tra il vantaggio nella competizione (come può essere l’altezza) e il vantaggio nella categoria (come può essere il peso a boxe). Lɜ autorɜ dicono che è la comunità sportiva a dover decidere quali siano questi vantaggi e di avere il potere di convertire un vantaggio competitivo in uno di categoria quando è probabile che sia un fattore decisivo nell’esito di uno sport particolare (Parry e Martínková, 2021). La tendenza altrimenti sarebbe quella di avere una categoria per ogni singola persona e questo annullerebbe il senso dello sport competitivo (Loland, 2018).

Argomentazioni a favore:

Alcunɜ autorɜ hanno posto l’attenzione su come sia l’esperienza incarnata dell’atleta ad influire sulla prestazione sportiva, più che la componente fisiologica. In particolare parlano del grado di immersione dellɜ giovane nella cultura di uno sport (ad esempio valutando fattori come l’avere un genitore che porta lǝ giovane atleta a una partita ogni sabato o la frequenza con cui pratica tale sport) e di come il ruolo di genere abbia modellato il corpo e le abilità (come la persona ha sviluppato determinate abilità motorie e competenze corporee, abilità di problem solving etc. a seconda dell’ambiente in cui è cresciutǝ e come è statǝ socializzatǝ). Quest’ultimo fattore ha un forte peso sulla prestazione: l’influsso sociale può andare dal commento sessista “lanci come una femminuccia”, agli sport che coinvolgono la manipolazione del corpo di un altro, come la lotta e altre arti marziali, per cui le ragazze, per le norme sociali di comportamento di genere a cui sono soggette, possono avere barriere in più da superare (Torres, Lopez Frias e Martínez Patiño, 2020). Non vengono fornite però soluzioni pratiche su come questa diversa concettualizzazione delle categorie che tenga in considerazione la genealogia dell’atleta possa essere applicata: cerca di fornire qualche soluzione Martínková et al. (2021), riconoscendone però la complessità di applicazione. 

Riguardo alla famosa critica di esclusione delle donne TGD per preservare l’equità della competizione viene fatto presente che l’equità nello sport non richiede che lɜ atletɜ siano uguali in ogni aspetto immaginabile. Pertanto, sebbene alcunɜ giocatorɜ siano più altɜ, più forti o più veloci di altrɜ, nessunǝ considera queste differenze ingiuste. La migliore, sebbene imperfetta, metrica per determinare se una caratteristica conferisce un vantaggio sportivo ingiusto è esaminare con quale frequenza coloro con tale caratteristica vincono e la significatività del margine di vittoria. L’idea che lɜ atletɜ TGD dominino lo sport femminile in tutto il mondo è finzione. La verità è che alcune dellɜ pochɜ atletɜ TGD che hanno avuto buoni risultati nelle gare del loro sport, principalmente la nuotatrice Lia Thomas e le corridori Juniper Eastwood, CeCé Telfer, Andraya Yearwood e Terry Miller, sono statɜ discussɜ più e più volte, e anche loro non hanno universalmente o costantemente superato le loro coetanee cisgender. La percezione pubblica può essere distorta dal fatto che le persone tendono a sentir parlare dellɜ atletɜ TGD solo quando si distinguono in modo eccezionale. Outsports, un media sportivo LGBTQ+ centrato sugli sport, ha registrato almeno trentadue atletɜ TGD pubblicamente dichiaratɜ che hanno gareggiato nell’ultimo decennio, la maggior parte dellɜ quali sono in gran parte sconosciutɜ. Lɜ pochɜ che hanno fatto scalpore sono state donne TGD che hanno sfidato donne cisgender e che per sforzo, opportunità e talento hanno vinto (Zeigler, 2024).
Certɜ giocatorɜ di pallacanestro hanno un vantaggio legato all’altezza, lɜ giocatorɜ di football americano alla massa corporea, lɜ canottierɜ alle spalle larghe e lɜ tiratorɜ sceltɜ alla frequenza cardiaca bassa. Gli studiosi hanno persino iniziato a identificare i cosiddetti “geni della performance” che conferiscono un vantaggio atletico. In particolare, una mutazione nel gene EPOR porta a una maggiore capacità di utilizzare l’ossigeno in modo efficiente. Sarebbe quindi giusto vietare di partecipare allɜ atletɜ che beneficiano di questa mutazione? (Enriquez e Gullans, 2012) Così come ai membri della tribù Kalenjin in Kenya, che costituiscono solo lo 0,06 % della popolazione mondiale, ma dominano la maggior parte delle gare di resistenza, probabilmente aiutati da fattori genetici come polpacci e caviglie particolarmente sottili oltre ad altri fattori culturali e geografici (Warner, 2013).

Il campione olimpico di nuoto statunitense Michael Phelps ha paragonato i successi di Lia Thomas al doping e ha chiesto un “campo di gioco livellato”, eppure Phelps presenta un busto e un’apertura dorsale tipici di un uomo più alto (garantendogli più potenza) e gambe tipiche di un uomo più basso (garantendogli meno attrito con l’acqua). Ha anche articolazioni iperestese e caviglie piegate del 15% in più rispetto ai suoi rivali, una capacità polmonare estremamente alta e una produzione di acido lattico di circa la metà di un atleta tipico, facendolo sentire meno affaticato (Hesse, 2019).

Anche sull’attuale misurazione dei livelli di testosterone come criterio di inclusione/esclusione ci sono diverse critiche: il ruolo del testosterone è tutto tranne che semplice. Katrina Karkazis, un’antropologa coautrice di Testosterone: Una biografia non autorizzata, è citata in un articolo del New York Times del 2022 affermando: “Nessuno studio ha mai concluso che si possa prevedere l’esito di eventi di velocità o forza conoscendo i livelli di [testosterone] dei concorrenti” (Ghorayshi, 2022). Isolare il testosterone come indicatore di vantaggio atletico è ancora più controverso e fuori luogo nel contesto dello sport giovanile, in cui lɜ adolescenti hanno stati di sviluppo, tipologie corporee e abilità altamente variabili. I livelli di testosterone variano ampiamente anche all’interno della popolazione cisgender (Jones, Arcelus, Bouman e Haycraft, 2017). Questa iperconcentrazione sul testosterone e il presunto vantaggio ingiusto che conferisce alle donne TGD, ha reso anche gli atleti TGD maschili largamente invisibili nei media e ha ridotto i loro stessi successi sportivi. Anche se l’oscurità relativa può sembrare preferibile alle accuse e all’indignazione, “la visibilità permette alle persone di vedere percorsi per se stesse, di credere che i loro obiettivi e aspirazioni siano possibili”, sottolinea Nick Adams. La capacità di ragazzi e uomini TGD di competere e vincere contro ragazzi e uomini cisgender mina gli argomenti sul vantaggio biologico basato sul sesso. Se essere assegnati maschi alla nascita conferisce un vantaggio così schiacciante, perché questi ragazzi e uomini TGD – che sono stati assegnati femmine alla nascita – a volte si distinguono e vincono?
Lɜ autorɜ concludono invitando a riflettere che anche se dati più definitivi porteranno mai ad un’accettazione generale che alcune ragazze TGD hanno vantaggi atletici su alcune o la maggior parte delle ragazze cis, questo vantaggio non sarebbe moralmente diverso dai vantaggi che alcune ragazze cis hanno su altre ragazze cis.

Giovani atletɜ TGD

Un discorso più approfondito va fatto sullɜ atletɜ giovani. Diversi Stati americani hanno approvato leggi contro lo sport giovanile transgender. Tipicamente queste portano titoli come “Fairness in Women’s Sports Act” o “Save Women’s Sports Act”, vietando specificamente alle ragazze TGD di partecipare allo sport in conformità con la propria identità di genere, con il pretesto che lɜ atletɜ “biologicamente maschi” hanno un vantaggio ingiusto sulle ragazze cisgender.
Molte proposte di legge richiedono la prova del sesso biologico sotto forma di certificato di nascita o dichiarazione giurata firmata, con alcune che stabiliscono che, in caso di “controversia”, un medico può stabilire il sesso dellǝ studentǝ basandosi sull’anatomia riproduttiva interna ed esterna dell’atleta, nonché sui suoi livelli di testosterone  (Idaho 2020).
Oltre a non servire alcun fine di equità, le leggi che vietano allɜ bambinɜ e allɜ adolescenti TGD di praticare sport in conformità con la propria identità di genere, consolidano lo stigma, ostacolano l’accettazione sociale ed escludono lɜ giovani TGD dallo sport, provocando danni significativi a questa già vulnerabile popolazione e alla società nel suo complesso. Alcunɜ sostengono che queste leggi non vietano effettivamente allɜ bambinɜ TGD di praticare sport: i disegni di legge lɜ obbligano solo a giocare nella squadra che corrisponde al sesso loro assegnato alla nascita anziché alla loro identità di genere. Questa posizione però è insostenibile per diverse ragioni: costringere lɜ atletɜ TGD a giocare secondo il sesso assegnato loro alla nascita non è un’alternativa valida. L’esperienza della disforia di genere, il disagio o il malessere causato dall’incongruenza tra il sesso assegnato alla nascita e l’identità di genere, è sperimentata dalla stragrande maggioranza dellɜ individui TGD entro i sette anni e “si aggrava in coloro che affrontano i ruoli sociali di genere previsti e le caratteristiche sessuali che non si allineano, o riflettono, la loro interna percezione dell’identità di genere.” (Center C. M., 2024). Negare la competizione atletica in base al proprio genere fa venir meno il riconoscimento della propria identità, fondamentale per il benessere mentale e fisico e diritto umano della persona. Obbligare lɜ giovani atletɜ TGD a competere in categorie che non corrispondono alla loro identità di genere aggraverà il trauma che già provano a causa dello stigma e della discriminazione. Moltɜ smetteranno di partecipare, e altrɜ non inizieranno mai (Moyer, Zink e Parent, 2023).
Privare lɜ bambinɜ TGD dei numerosi benefici dello sport è moralmente inaccettabile. Quest sono ben documentati, ampi e sostanziali, e un’infanzia ricca di attività fisica è particolarmente associata a risultati positivi lungo tutto l’arco della vita. L’esercizio regolare aiuta a mantenere un peso corporeo sano, insieme a ossa, muscoli e articolazioni sane, e riduce il rischio di malattie cardiache, ictus, cancro e diabete (Aspen Institute, Project Play).
La partecipazione allo sport può anche promuovere aspetti dello sviluppo personale come l’autostima, la definizione degli obiettivi, le abilità di lavoro di squadra e di leadership e il benessere sociale. È correlata a tassi ridotti di fumo, uso di droghe e gravidanze nellɜ adolescenti, oltre che a voti migliori, una maggiore probabilità di frequentare il college, guadagni più elevati e costi sanitari ridotti. Infine, c’è il motivo principale per cui lɜ studentɜ dicono di praticare sport: è divertente.
Un rapporto del 2017 della Human Rights Campaign ha scoperto che, mentre una notevole maggioranza (il 68%) dellɜ giovani cisgender partecipa a sport organizzati, questo numero scende al 12% tra le ragazze TGD e al 14% tra i ragazzi TGD (Human Rights Campaign Foundation, “Play to Win.”). Inoltre, lɜ giovani TGD sono a rischio elevato di bullismo, suicidio, povertà e altre vulnerabilità (Eisenberg,  Gower, McMorris, Rider, Shea e Coleman, 2017). Negare a questo gruppo particolarmente a rischio l’opportunità di praticare sport non solo lɜ priva dei numerosi benefici goduti dai loro coetanei cisgender, ma anche dei benefici che assumono una forma unica per lɜ giovani TGD: la partecipazione agli sport nella categoria di genere affermato può promuovere l’orgoglio corporeo e fornire accettazione e supporto da parte di una squadra durante il processo di accettazione della propria identità di genere (De la Cretaz, 2021).
Viene preso come esempio l’approccio norvegese allo sport giovanile, che privilegia la partecipazione e il divertimento e toglie importanza alla specializzazione e la competizione. Riconoscendo che l’infanzia è un periodo di esplorazione, lɜ giovani norvegesi sono incoraggiatɜ a non specializzarsi precocemente, come spesso accade negli Stati Uniti, ma a provare una vasta gamma di sport fino ad almeno quindici anni. I club non registrano punteggi fino a quando lɜ bambinɜ non raggiungono i tredici anni: l’obiettivo è concentrarsi sullo sviluppo personale di ciascunǝ bambinǝ anziché sulla misura esclusiva della vittoria (The Aspen Institute, 2018).
In secondo luogo lɜ autorɜ immaginano un mondo di categorie sportive ridefinite, uno che abbandona una demarcazione netta tra i sessi a favore di uno che onora la comprensione sempre più ampia della società del genere come uno spettro e si basa su fattori categorici più oggettivi rispetto al binarismo maschio-femmina.
Un’altra opzione sarebbe quella di aumentare il numero di squadre unisex. Tali squadre sono già comuni in diversi sport, tra cui l’ultimate frisbee, il roller derby e le corse di cavalli. Invece di approvare leggi mirate all’esclusione si potrebbe richiedere alle scuole di mantenere almeno una squadra sportiva inclusiva dal punto di vista del genere (Voyles, 2019).
Lɜ atletɜ TGD sono statɜ trasformatɜ in minacce quando dovrebbero essere vistɜ solo come benefici, verso un modello di sport più ricco, più inclusivo e più equo, che faccia spazio ad ogni bambinǝ che desidera giocare. I benefici che emergono dal permettere allɜ bambinɜ transgender di praticare sport senza restrizioni che promuovono discriminazione, tormento e invasione della privacy si estenderanno anche allɜ loro compagnɜ di squadra cisgender, in un’età particolarmente formativa, riducendo la transfobia. Lo sport può rappresentare un riflesso della società che abbiamo, oppure può aprire la strada per la società che desideriamo (Moyer et al., 2023).


*tirocinante di psicologia preso CON-TE-STARE, Sportello Attivo Trangender

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