Eccoci tornati con il racconto del mercoledì!
Oggi condividiamo la testimonianza del percorso di consapevolezza della propria identità di genere di un nostro caro ragazzo FtM, buona lettura!
Chella Man, Noah Adams, Sam Collins, Buck Angel, Francesco Cicconetti: 5 ragazzi e uomini transessuali che hanno condiviso le loro esperienze sul web, chi su Instagram e chi su Youtube. Non ho idea di quante ore io abbia passato a leggere i loro post e a guardare i loro video. Da due anni a questa parte seguo la transizione di Noah (in arte noahfinnce), e, specialmente all’inizio della sua terapia ormonale, ogni mese aspettavo il video in cui elencava i cambiamenti fisici che aveva notato.
Non ho mai conosciuto persone trans*: i social, specialmente i due che ho citato, sono stati l’unico mio contatto con la comunità. È stato lì che ho imparato che la transessualità non è una cosa schifosa, non è una scelta, e soprattutto, al contrario di quello che dicono i luoghi comuni, non c’entra niente con la prostituzione – senza qui sottintendere che la prostituzione sia cosa sporca o scandalosa.
Ammiravo e al tempo stesso invidiavo quelle 5 persone per il coraggio e la forza che avevano avuto di iniziare la transizione. Mi ricordo il senso di libertà che mi dava ascoltarli e sentire che non ero solo; mi ricordo anche che io, in quel periodo, non avevo ancora ben capito di essere transessuale. “Figurati se io avrò mai la possibilità di fare tutto questo”, mi dicevo. Pensavo che sarei stato sempre troppo debole, e non vedevo in me la forza che invece c’è sempre stata.
Finalmente durante l’estate dei miei 17 anni ho capito: se ce l’avevano fatta loro potevo benissimo farcela anch’io. Mi sono sentito come rinascere. La mia vita poteva davvero andare come me l’ero immaginata fin da piccolo! Avrei davvero potuto comprare le canotte contenitive, bastava chiedere a degli amici di farsele recapitare a casa!
Nel giro di mesi sono cambiato tantissimo, e mi sembrava stessero passando anni: prima ho creduto di essere agender, poi genderfluid, poi semplicemente non binario, e poi, con timidezza e quasi con paura, ho cominciato a sentire che invece ero un ragazzo. All’inizio dell’estate escludevo di iniziare la terapia ormonale; già due mesi dopo volevo farla per poco tempo, così da diventare un po’ androgino, finché, circa verso Natale, ho capito che l’androginia non mi sarebbe bastata, perché ero un ragazzo e avevo bisogno di vedere la mia identità rispecchiata nel mio corpo. A questo punto ho avuto paura: un coming out non era più solo possibile, ma anzi era lì vicino, e non avrei potuto rimandarlo per molto. I primi confronti con i miei genitori sono stati molto dolorosi: non solo non mi capivano, ma non avevano neanche idea di cosa stessi parlando. Mio papà pensava che la “teoria gender” fosse “violenta, perché se nasci maschio sei maschio, e se nasci femmina sei femmina, non è che prendendo ormoni si cambia il proprio sesso, al massimo ci si fa del male”. Mia mamma invece non mi parlava della teoria gender, ma mi diceva che “non serve diventare uomini per essere lesbiche, puoi benissimo essere lesbica così come sei, no?”. In quel periodo l’unico rifugio che avevo erano i social: non ho mai interagito con nessuno, ma questo non mi ha impedito di sentire che la comunità trans esiste, che io non ero solo, e che la fatica e il dolore che stavo provando non sarebbero stati vani.
Lentamente i miei hanno cominciato ad accettare l’idea di conoscere proprio figlio, piuttosto che vedere propria figlia deprimersi sempre più. La strada è ancora lunga, ma sono sicuro che, prima o poi, guardandomi riusciranno a vedere un ragazzo – e non un ragazzo qualunque: me, il vero me, loro figlio.