Testimonianza N°5

Eccoci con l’appuntamento del mercoledì!

Oggi condividiamo il toccante racconto di Alice, una ragazza transgender che ha da poco intrapreso il percorso ormonale. Con infinita dolcezza Alice racconta il mare di emozioni da cui è stata travolta durante la prima somministrazione di estrogeni, buona lettura!

ALICE MAGGIO 2021

Un guizzo di gioia: il gel

E’ stato un periodo molto difficile quello che ho vissuto durante l’inizio della transizione, in generale. Non solo per la “transizione” in sé, ma per tante cose. Conseguenze di conseguenze, sentieri sbagliati, le cose che cambiano, tu che invecchi, capisci cose nuove, te ne mancano altre.
Per vari motivi, varie incombenze, vari bisogni. Un intreccio molto intricato, arrivato da chissà dove.

Sì, grotte, ansie e attese… ma non occorre dilungarsi, entrare nei dettagli, e non sono qui per parlare di questo; stavolta non sarò una testimone del dolore. Né di muffe strane, men che mai del grigiore. Ci sono così tanti altri colori che hanno bisogno di essere dipinti… Mi ricorderò per sempre il colore delle estati passate, le località marittime, le città illuminate di notte, le feste di paese, i luna park e certe cenette, certe cose che si sono alla lunga infiltrate.
Sono per me atmosfere preziose, perle da non dimenticare. Ci sono state molte intermittenze da qui a qualche anno, tante sbandate, su e giù, tante deviazioni, tanti accendi-spegni, on-off, troppi vicoli bui; ad un certo punto è difficile crederci, ma chi si può aspettare che pure nei vicoli coperti dal sole spirino delle brezze, brezze cariche di ricordi, di odori, di sapore, dei veri e propri squarci, un non so che che ti invita a tornare nell’estate, nelle sagre, a sentire l’aria a pieni polmoni sulla pelle, l’aria estiva a cavallo sulla giostra.
Quella sera (quella di poco fa, quella di cui sto raccontando) era giunto il momento fatidico: era ora di cominciare con gli ormoni. Sono estrogeni a gel, bisogna spalmarseli, proprio come una crema.
Ma non mi importava più di tanto, lo avevo detto anche alla Rosin, la mia psicoterapeuta. Avevo metabolizzato, dopo molto tempo, quella che era la mia condizione.
“Che cambierà mai, in fondo?” “Anche se avessi un corpo sfavillante, che vantaggio potrà mai darmi, nella mia vita…” Eppure non ho mai puntato al corpo; l’aspetto che desideravo in quasi tutto ce l’avevo fin dalla nascita. Sono sempre stata estremamente femminile, non mi sarebbe cambiato molto. No: non è poi così tanto l’aspetto quello che cercavo; e lo sapevo. C’era qualcos’altro, di ancora più profondo, che è come se si fosse spento. Ho una persona a me carissima, nonostante tutto, che anche quella sera, mi ha spronata. Era il grande momento, ma ero piena di reticenze, addirittura ansie, frutto di aspettative troppo segnate, speranze fallite…anche grazie al suo sostegno, e soprattutto al suo affetto, mi ha fatto comunque decidere di agire, anche se non con troppo entusiasmo. Mi piaceva però studiare l’oggetto, come un giocattolo. Era anche come uno scrigno però, e un tombino…chissà cosa si nascondeva dietro. Ma non era la sua, l’aura che percepivo. Dopotutto, non era niente più che un simbolo. Un catalizzatore, in quel fatidico momento, di tutte le mie giornate in preda all’emozione, i travagli, le aspettative, le curiosità, i turbamenti, le scoperte: già, c’ero io, in miniatura, soffusa, dietro a quel barattolo di plastica bianca, colmo di tutto.

Ho deciso di spalmarlo insieme.
Eravamo in chiamata, in diretta. L’avevo fatto sì, finalmente. Non ho subito l’effetto “semi traumatico” che pensavo mi scatenasse, quel sancire una volta per tutte la mia agognata decisione. Poi lui doveva andare a letto. Non era prestissimo, in effetti.
Io sarei rimasta ancora un pò in piedi, chissà, per smaltire, per chattare, per distrarmi un pò…
Sono passati dei minuti, non saprei quanti; non troppi, troppo pochi, anzi: per ciò che mi aspettava dietro l’angolo. Chattavo con un’amica, ma poi… non so come, non so perchè, non so da quando e non da dove: qualcosa si era sciolto, e no, non era il gel sulla mia pelle. Un qualcosa che da dentro, ha cominciato a farsi strada; c’era una corrente dorata, così piano piano, che voleva uscire, leggiadra, silente, che alla fine ha irrotto.
Come ad una festa, la gravità ha smesso di funzionare bene; respiravo aria diversa: ero così leggera, sono diventata un conduttore di elettricità, una scintilla pronta a prendere il largo. Su qualsiasi treno, senza google maps, bolla di sapone, a tutta birra, on the road.
Sì, mi sono sentita toccata da ali di farfalla. Non so quanti abbiano un’idea di cosa voglia dire sentirsi alle spalle, sulla schiena, alle caviglie, sparse chissà dove delle ali, delle morbide ali che assomigliavano alle cabine di una giostra.
Il mondo fuori era lo stesso, pressapoco, identico. Ma il mio brillare era su una frequenza diversa. Sono seria! Tutto il pensare era divenuto ombra nell’emozione, come se si fosse convertito, come se avesse scelto di farsi una bella esotica vacanza.
Un grande flusso emotivo… ma il centro ero sempre io, solo io, sentivo chi ero. A livello fisico non era cambiato proprio un bel niente; ma già ho sentito tutte le mie nuove conquiste, addosso, su di me, presso al mio seno, dentro il mio ventre, come una finestra di primissimo, pieno mattino sulla mia immaginazione… proprio la mia immaginazione, la mia testa finalmente attiva, entusiasta, trasformata in un faro. In un faro per chi, per che, per cosa? Per tutte le navi, i nuotatori, gli yacht e le bagnarole intorno a me e dentro di me! Finalmente avevo raggiunto il mio essere un porto. E’ da tempo (in cui avevo perso il conto) che mi sono mancati attracchi, mete e stazioni. Ne ho sempre avuti, un pò più un pò meno, però l’attracco, la meta e la stazione di quel tempo erano una cosa sola. Respiravano insieme, all’unisono. Erano un coro malizioso dentro di me; una melodia rimpianta, sentita, qualcosa che ricordava l’infanzia. Ero davvero nostalgica in quel momento… Sentivo la me che sono, la parte più spontanea della bambina/bimbo che ero, quella che sarò. Ma non c’era una scissione dentro di me… al contrario, una strana sensazione, c’era tanto tanto miele, una colla di miele che fa sorridere se si provasse a spiegarla per davvero.
Così, insomma… non è durata moltissimo (di lì a poco sarei andata a dormire), ma quel poco ha sfolgorato. E’ quel che bastava; chissà, ne avessi avuto ancora, mi sarei ubriacata. Mi ha offerto una nuova pista, una nuova prospettiva. Resta (per quanto fatuo!) un porto alle intemperie del mio futuro, della mia quotidianità. Diciamo, per finire di raccontare questa esperienza, questo mio guizzo di gioia, che ho così riscoperto un mio focolare, tutto interno (e tutto intorno), così caldo e accogliente, così volitivo, come il fuoco, e scoppiettante, come la brace; io mi sono (ri)scoperta focolare: e per quanto sia piccolo, esposto, a tratti indifeso, chissà con quanta legna, di una tenerezza quasi timida, inutile rispetto ad un mondo sconfinato, penso che il mio grande, inesauribile, eroico custode, pieno e rigenerante, vulcanico, calore di cui mi sono riaccorta, che posso far esplodere ogni volta dentro di me, sia tutto quello che si possa desiderare, tutto ciò di cui si ha bisogno, in questo piccolo mondo, a far parlare la mia realtà, che è sconfinata. E’ stata un’esperienza unica parlare al ritmo con la mia serotonina. Ed ecco la mia vita: una canzone che voglio cantare.

Alice